Steve Blank e la cultura del “niente scuse”

Steve Blank e la cultura del “niente scuse”

Ogni tanto rileggo questo post che ho tradotto dal Blog di Steve Blank. Consiglio a tutti di andare a leggere qualcosa da quelle parti.

Mentre preparava le classi del semestre successivo all’Università di Stanford Steve Blank ha chiesto al suo assistente per quale motivo i poster del nuovo corso non fossero ancora stati appesi in giro per il campus. Ascoltando la litania di scuse in risposta alla sua domanda ha avuto una forte sensazione di déjà vu. “Pioveva.” (I poster andavano appesi nei corridoi, non fuori l’edificio). “Abbiamo ancora tempo.” (Avevano accordato di appenderli una settimana prima). Quando ha accettato l’incarico di Vice President nel dipartimento di Marketing in un’azienda che stava riemergendo dalla bancarotta, la scusa sembrava essere il prodotto di punta. Così hanno creato la cultura del “niente scuse“.

Steve Blank: niente scuse come valore fondamentale

In aggiunta alla scoperta e allo studio della clientela, alla creazione della domanda di utenti finali e al design di una strategia di prodotto, il marketing è importante anche per essere un’organizzazione di supporto alle vendite. Fallire la consegna di un progetto funzionale alle vendite mi ha sempre mandato fuori dai gangheri, così come non tolleravo mancare la scadenza di una consegna per i media. E mi sono velocemente reso conto che ogni volta che fallivamo le consegne e non rispettavamo le scadenze, tutti nel mio dipartimento di Marketing avevano una scusa pronta. Produrre scuse invece di consegnare progetti con puntualità significava fondamentalmente che stavamo fallendo nel complesso, come organizzazione. Non stavamo supportando la missione dell’azienda (generare fatturato e profitti) e la mancanza di onestà diminuiva sia la nostra credibilità che la nostra integrità.

Ho presto realizzato che il meccanismo si era rotto a livello culturale nella nostra impresa, ma non riuscivo a spiegarmi l’origine di tutto ciò. Poi si è palesato. Quando mancavamo le consegne, non c’era nessuna conseguenza per nessuno. Nessuna conseguenza per i miei collaboratori diretti quando mancavano di consegnare in tempo – nessuna conseguenza per le persone che erano sotto di loro – e nessuna conseguenza per i nostri fornitori.

E senza conseguenze il nostro intero dipartimento si comportava come se gli impegni in agenda non avessero importanza. Un ritornello continuo del tipo: “la brochure per i canali di vendita è arrivata in ritardo perché il fornitore era troppo impegnato e non ha potuto rispettare la scadenza iniziale.” O “La campagna di Gennaio è stata spostata a Febbraio perché il nostro grafico si è ammalato, non te l’abbiamo detto perché pensavamo fosse OK.” Oppure, “Slitteremo il lancio del nuovo prodotto perché il team ha pensato che non sarebbero stati pronti per quella data.” Ho ereditato un dipartimento con una cultura aziendale che aveva trasformato l’impegno in vaghe aspirazioni. Non avevamo nessuna responsabilità sulle nostre consegne.

Ho capito che per costruire un’organizzazione che performasse ad alti livelli, capace di guidare l’azienda verso il successo, dovevamo cambiare questo atteggiamento. Volevo un team che fosse considerato in grado di eseguire le consegne in tempo e con qualità. Così un giorno ho appeso un cartello sulla mia porta che diceva “non si accettano scuse.” E ho fatto in modo che ognuno nel mio team avesse chiaro in testa il messaggio di fondo: “Stiamo per diventare tutti ‘responsabili‘.”

Non può essere “rispettate le scadenze o ciccia.”

La mia visione di responsabilità è “abbiamo stabilito una scadenza, a partire da ora fino a quella data va bene chiedermi aiuto perché sei bloccato, o perché qualcosa è andato storto o fuori controllo. Ma non entrare mai nel mio ufficio il giorno della consegna con una scusa. Perché ti costerà il posto di lavoro.” Quel tipo di responsabilità.

E poi “siccome io non accetterò più scuse di alcun genere, anche voi non siete più autorizzati ad accettarne dal vostro staff e nemmeno dai vostri fornitori. Al più presto dovete dire loro che va bene avvertirvi e chiedervi aiuto se sono incasinati. Ma dovete anche far sapere al vostro staff e ai vostri fornitori che presentarsi il giorno della consegna con delle scuse gli costerà il lavoro.

Il mio obiettivo non era quello di impostare date e scadenze inflessibili, ma di creare una cultura aziendale senza sorprese e innescare la risoluzione collettiva dei problemi.

Non credete che l’attuazione di questo piano sia stata semplice. Chiedere aiuto, e/o dichiarare di essere in difficoltà ha creato dissonanze cognitive a molti. Alcuni semplicemente non riuscivano ad ammettere di aver bisogno di aiuto fino alla data della consegna. Altri al contrario hanno cominciato a credere che la risoluzione collettiva dei problemi li autorizzasse ad entrare nel mio ufficio, dirmi di avere un problema e pensare che l’avrei risolto io per loro prima ancora di provarci. Abbiamo lavorato sodo per rendere “niente scuse” parte integrante della nostra cultura aziendale ma qualcuno non è riuscito ad adattarsi. Alcuni sono diventati ex-dipendenti.

Tutto è “urgente”

Ecco un’altra cosa che andava risolta prima di poter arrivare a “niente scuse.” Mi sono reso conto che i miei gruppi all’interno del dipartimento di Marketing erano diventati la discarica di qualsiasi genere di progetto, che provenisse dal nostro dipartimento o da altri dipartimenti dell’azienda – senza fare eccezioni, sempre con priorità uno, sempre con urgenza. Non avevamo modo di dire “Non possiamo prendere questo progetto ora.” Accettare a prescindere qualsiasi cosa da chiunque non era sostenibile.

Così abbiamo rapidamente messo in atto un processo di programmazione delle priorità che tenesse in considerazione le risorse del dipartimento. Ogni team del dipartimento di Marketing dell’azienda (marketing di prodotto, marcom, eventi di settore, etc.) calcolava le unità di tempo disponibile per ogni persona e quantificava il budget in dollari. A quel punto tutte le settimane ogni team classificava le priorità dei suoi progetti e doveva assegnare un ammontare di tempo e di budget ad ognuno di essi. Se qualcuno all’interno del Marketing voleva aggiungere un nuovo progetto, dovevamo prima capire quale progetto esistente andava messo da parte o abbandonato per procedere. Se qualcuno al di fuori del Marketing voleva aggiungere un nuovo progetto prima che ne avessimo le risorse necessarie, lasciavamo decidere quale dei progetti esistenti che stavamo realizzando per loro andava deferito o abbandonato. Se non avevamo le risorse per supportarli, li aiutavamo a trovare le risorse al di fuori dell’azienda. Inoltre, ognuno dei progetti che accettavamo doveva essere in linea con la missione generale dell’azienda e del nostro dipartimento.

Col tempo, responsabilità, qualità e rapidità di esecuzione, onestà e integrità sono divenute le pietre angolari della comunicazione fra di noi, con gli altri reparti dell’azienda e con i nostri fornitori.

Siamo diventati celebri per essere un’organizzazione dalle performance elevate che consegnava quello che prometteva in tempo e nel budget prestabilito.

La lezione appresa da Steve Blank

• Niente scuse date per il fallimento, solo fatti e richieste di aiuto
• Niente scuse accettate per il fallimento, solo fatti e offerte di aiuto
• Esecuzione senza sosta del piano
• Onestà e integrità degli individui

Tutto qui. Quattro punti. Questo ha creato la nostra cultura aziendale vincente.

Se ti è piaciuto l’articolo e vuoi approfondire, la Stanford University mette a disposizione gratuitamente la versione originale del libro di Steve Blank The Four Steps to Epiphany, il manifesto del movimento delle lean startup che ha istituito un nuovo approccio nel venture capital.

https://web.stanford.edu/group/e145/cgi-bin/winter/drupal/upload/handouts/Four_Steps.pdf

Steve Blank

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L’attitudine alla vittoria

L’attitudine alla vittoria

La squadra sportiva professionista di maggior successo della nostra epoca non sono i New York Yankees né i Boston Celtics o il Real Madrid, come si potrebbe pensare, ma è una squadra di una piccola nazione in mezzo al Pacifico che appartiene a uno sport certamente meno noto. È la Nuova Zelanda del rugby, gli All Blacks, che registrano un incredibile 86% di vittorie in assoluto nella loro storia sportiva e tanti prestigiosi trofei in bacheca.

Nell’eccellente libro LEGACY (eredità, lascito, tradizione) scritto sugli All Blacks, il più affermato team professionista nella storia dello sport moderno, l’autore James Kerr racconta nel dettaglio uno dei principi fondamentali che è alla base di questa attitudine alla vittoria e simboleggia l’appartenenza più pura e incondizionata.

Il titolo del libro in Italiano è tratto da una delle regole cardine della cultura degli All Blacks: *non si accettano teste di cazzo nella squadra*.




“Do you sweep the shed?”

Traducendo grossolanamente potrei chiederti: “tu lo spazzi lo spogliatoio?”, una domanda assurda di primo acchitto, che è divenuta un mantra famoso nel mondo della palla ovale. Non è strano infatti vedere anche campioni di altre nazionalità in atteggiamenti di questo tipo. Nella foto qui sotto ti lascio un esempio recente che aiuta a spiegare meglio il concetto.

Leigh Halfpenny, appena eletto Man of the match dopo la prima partita del 6 Nazioni 2017 tra Italia e Galles, porta gli scudi nel bus mentre i suoi compagni di squadra sono impegnati con la stampa.

Quello che viene descritto molto bene nel libro di Kerr è l’obiettivo primario che riceve ogni giocatore nel momento in cui viene selezionato per diventare un All Blacks. Dovrà lasciare la maglietta della squadra più vincente della storia, che gli viene affidata in custodia, in un posto migliore rispetto a quando l’ha ricevuta.

Ogni giocatore che riceve la maglia nera della Nuova Zelanda ha il dovere solenne di contribuire alla tradizione degli All Blacks (the Legacy, appunto) facendo la propria parte per accrescere il movimento nazionale e far avanzare il suo team ogni singolo giorno, oltre qualsiasi avversità. Questi campioni sanno che dovranno rimanere umili e che nessuno di loro sarà mai troppo importante o troppo famoso per esimersi dalle piccole cose necessarie per migliorarsi ogni giorno.

Devi mangiare bene. Devi dormire bene. Devi prenderti cura di te stesso, dentro e fuori dal campo. Ci si deve allenare duramente. Devi sacrificare i tuoi obiettivi personali per il bene superiore della squadra, che è uno scopo più elevato del tuo.

Devi “pulire lo spogliatoio”

Dopo ogni partita, che sia un allenamento o una finale giocata davanti a 80.000 fan, davanti a milioni di persone incollate alla tv, dopo che le telecamere sono andate via e il coach ha fatto il suo discorso, quando gli occhi del mondo sono rivolti altrove,  c’è ancora lo spogliatoio da pulire. E lo devono pulire i giocatori!

Se gli All Blacks stanno spazzando il loro spogliatoio dopo la partita allora perché non dovresti impegnarti tu stesso ad aiutare i giocatori più giovani, a raccogliere i conetti alla fine di ogni allenamento, ad arrivare per primo e andartene per ultimo dalla palestra ed essere d’esempio per gli altri?

Tutti noi, se vogliamo abituarci a vincere, dovremmo farci questa domanda:

Sto lasciando l’uniforme in un posto migliore, o sto solo contando i giorni prima che me la tolgano?

 

 

 

 

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