
Italia in ritardo sulle Comunità Energetiche: solo l’1% del target PNRR è stato raggiunto
Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) sono state presentate come uno dei tasselli fondamentali per costruire un’Italia più verde, sostenibile e autonoma dal punto di vista energetico. E in effetti, nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il loro ruolo è centrale: promuovere l’autoconsumo collettivo e valorizzare la produzione locale di energia da fonti rinnovabili, in primis il fotovoltaico.
Eppure, a oggi, i numeri parlano chiaro. E non sono positivi.
Un ritardo che pesa
Secondo i dati pubblicati dal GSE (Gestore dei Servizi Energetici), al 6 marzo 2025 risultano attive in Italia solo 212 Comunità Energetiche, per una potenza complessiva installata di circa 18 MW. Questo significa che è stato raggiunto appena l’1% dell’obiettivo nazionale, fissato a 1.730 MW entro il 2026. Un gap enorme, che rischia di compromettere l’efficacia di uno degli interventi più ambiziosi e innovativi previsti dal PNRR.
Ma cosa sta bloccando la diffusione delle CER nel nostro Paese? Perché, nonostante le potenzialità, restano ancora una realtà di nicchia?
Comunità Energetica: un’idea semplice, una realtà complessa
Per chi non le conoscesse, le Comunità Energetiche sono gruppi di cittadini, imprese, enti locali o associazioni che decidono di produrre e condividere energia rinnovabile a livello locale, solitamente tramite impianti fotovoltaici. L’energia viene consumata dove viene prodotta, abbattendo i costi in bolletta e riducendo l’impatto ambientale.
Uno dei principali vantaggi è proprio l’autoconsumo condiviso, che permette non solo di risparmiare ma anche di accedere a incentivi economici gestiti dal GSE, che nel 2025 arrivano fino al 40%, come abbiamo spiegato nel nostro articolo dedicato agli incentivi 2025 per le CER.
Il divario tra ambizioni e realtà
Il PNRR ha stanziato 2,2 miliardi di euro per sostenere le CER, con due obiettivi chiave:
- accompagnare la transizione energetica nei piccoli comuni (sotto i 5.000 abitanti);
- diffondere modelli di produzione distribuita, più resilienti e sostenibili, basati su fonti rinnovabili.
Tuttavia, i fondi da soli non bastano. Le buone intenzioni devono confrontarsi con la realtà del territorio italiano, fatta di lentezze amministrative, poca informazione e ostacoli pratici.
Cosa sta rallentando lo sviluppo?
Tra i principali colli di bottiglia che frenano le CER troviamo:
- Burocrazia e tempi infiniti per ottenere autorizzazioni e connessioni;
- Scarsa conoscenza degli strumenti disponibili, soprattutto da parte dei piccoli comuni;
- Difficoltà giuridiche nella costituzione della comunità energetica;
- Accesso complicato agli incentivi, spesso poco chiaro o tecnicamente impegnativo;
- Mancanza di figure tecniche di riferimento nei territori, capaci di guidare i processi.
Da ostacoli a opportunità: cosa fare?
Per colmare il divario tra potenziale e realtà, serve un vero e proprio cambio di marcia. Alcune azioni concrete potrebbero fare la differenza:
- Snellire le procedure, digitalizzando e uniformando i processi autorizzativi;
- Promuovere una cultura dell’energia condivisa, informando e coinvolgendo cittadini, PMI e amministrazioni;
- Affidarsi a partner tecnici qualificati, in grado di seguire l’intera filiera: dalla progettazione alla realizzazione dell’impianto, fino alla gestione delle pratiche GSE e del monitoraggio dei consumi.
Un modello vincente, da non sprecare
Nonostante le difficoltà, le CER restano una delle chiavi per la transizione energetica dei territori. I benefici sono tangibili:
- bollette più leggere per famiglie e imprese;
- energia 100% rinnovabile e locale;
- incentivi garantiti per 20 anni;
- valorizzazione delle risorse territoriali;
- partecipazione attiva di cittadini e istituzioni.
In conclusione
L’Italia ha tutte le carte in regola per diventare un modello europeo di energia condivisa. La proroga al 30 Novembre per accedere al contributo del 40% a fondo perduto per l’installazione di nuovi impianti e l’ampliamento della platea dei beneficiari ai comuni sotto i 50.000 abitanti – ovvero al 98% dei comuni italiani – darà sicuramente slancio alla misura. Ma serve ancora coraggio e volontà politica, semplificazione normativa e una rete di competenze sul territorio. Le Comunità Energetiche non possono più restare una buona idea sulla carta: devono diventare una realtà concreta e diffusa. E in fretta.
Perché il futuro non aspetta. E nemmeno il PNRR.